martedì 2 novembre 2010

Qualcosa è cambiato.

400 persone provenienti da tutta Italia riunite in una sala con la ferma intenzione di migliorare la qualità della propria vita. 400 abbracci da dare e ricevere, 400 sorrisi calorosi, 400 amici disposti a guardarti negli occhi con assoluta sincerità, 400 persone che si commuovono e ridono a crepapelle pensando alla propria vita, tutte insieme. Nessuna vergogna di essere vulnerabili, tutt’al più l’orgoglio di prenderne atto. Ringrazio la mia vita per questa esperienza.
Come è successo?
Mi è capitato quello che a molti capita. A un certo punto è arrivato il momento di fare i conti con i miei limiti. Un momento rinviato per tanto tempo, finché la vita ha presentato il conto, volente o no. Ed è stato pesante. Rocky diceva: “Non importa quante volte cadi, ma quante volte ti rialzi” Il maggiordomo di Batman domandava: “Perché cadiamo? Per imparare a rialzarci!”
Con questi esempi davanti agli occhi, uno come fa non sentirsi un figo, perfino nella sfiga? Così, anche nel momento dello sconforto, una vocina dentro di me diceva: ehi, è successo anche a Batman! Per uno che si è laureato con una tesi in sociologia sui supereroi, credetemi, fa la differenza.
Comunque.
Avevo mancato il bersaglio da diversi punti di vista (lavoro, amore, arte e per certi versi, amicizia,) e ho iniziato a chiedermi: come raddrizzo la mia vita? Il tempo sta passando, non sono più giovanissimo e, francamente, ho il morale a terra! La crisi dei quarant’anni non può aspettare che li compia davvero?
Per un po’ ho pensato di fuggire all’estero. Dico “fuggire” perché in effetti il piano di trasferimento era piuttosto fumoso, a ripensarci col senno di poi. Sono andato a Londra e ho annusato l’aria. Sapeva di burro bruciato e patatine di McDonalds. Londra è fantastica, ma ci devi andare con lo spirito giusto e ho capito che il mio spirito era ferito. Così non andava.
A mancarmi non erano le idee, di quelle anche troppe. Latitava invece la motivazione a inseguire con energia un’idea purchessia, a impegnarmi con passione nella mia vita.
Eppure ricordavo un’epoca in cui ero determinato, sicuro di me, pieno di aspettative e sempre pronto a mettermi in gioco.
Sapete di che parlo?
Poiché chi cerca trova, ho iniziato a trovarmi davanti il faccione sorridente di un tale, Anthony Robbins, che conoscevo di nome ma non di fatto. Una montagna d’uomo con denti bianchissimi e un entusiasmo per la vita francamente irritante. Nei video parlava del perché le persone fanno quello che fanno. Del fatto che non esistono persone pigre (come io mi sentivo), ma persone che non hanno ancora trovato il loro obiettivo personale e che hanno abitudini depotenzianti, modelli di pensiero che ne sabotano la riuscita e molto altro ancora…
Americanate, ok? L’avevo sempre pensato. Di più, lo avevo sempre saputo. Sono mica un fesso, io.
Solo che le parole di Robbins non facevano una grinza, maledetto!
Solo che quel gigante da un milione di dollari aveva una mente affilata come un rasoio e diceva cose talmente logiche e incontrovertibili che non riuscivo a contraddirlo nemmeno con la mia STRAORDINARIA intelligenza. Solo che non parlava di sorridere alla vita con atteggiamento new age, parlava di prenderla per le palle, la vita… e assumersi la responsabilità di portarla esattamente dove vogliamo! Sicuri di riuscirci? No! Sicuri che ne varrà la pena? Sempre e comunque! Ma come? Be’, lui aveva un paio di consigli…
Ragazzi, ero così stanco di sentirmi avvilito senza ragione apparente, di vedere tante persone infelici intorno a me o anche semplicemente demotivate!
Il mio cervello aveva cominciato a selezionare le informazioni che lo interessavano. Notavo sempre più persone intelligenti, istruite, benestanti e con un enorme potenziale di felicità, scontente della propria vita o chiusi entro limiti soffocanti che si erano costruite da soli. Alcune di queste persone si confidavano con me, forse perché notavano che soffrivo della stessa “malattia” o forse perché si accorgevano che ero partecipe delle loro sorti.
I discorsi avevano un elemento in comune, riassumibile così: “Non so cosa voglio dalla vita, a volte mi sento così male e non so perché!”
Quel fetente di Robbins aveva diverse risposte. Ho iniziato a interessarmi alle sue teorie e alla scuola di pensiero da cui venivano, di derivazione psicologica, e ho cominciato a sentire qualcosa che si agitava dentro di me. Perché alcune persone hanno tutte le fortune e sono infelici? Perché gente come Elvis, Michael Jackson o Maradona, per fare esempi eclatanti, sono così ricchi di possibilità e rovinano se stessi? Perché altri hanno una vita travagliata, vedono e soffrono le peggiori esperienze e ciononostante sono felici? Alcuni diventano esempi per tutta l’umanità! Penso a Nelson Mandela, un uomo che ha patito 27 anni di prigionia, e poi ha cercato la riconciliazione – e non la vendetta! Penso a chi ha poco o niente ed è più felice di un riccone cocainomane e forte oltre ogni misura nonostante lavori come un mulo e guadagni assai poco.
Stavo girando come una trottola. Leggevo libri su libri e sentivo di avere trovato qualcosa di valido su cui riflettere.
Solo che a un certo punto dovevo mettere alla prova tutte quelle teorie su di me, altrimenti a che servivano? Poiché chi cerca trova, una sera di giugno mi sono ritrovato in mezzo a centinaia di persone ad ascoltare un formatore che anni fa aveva studiato e lavorato direttamente con Robbins, uno che viene chiamato “l’Anthony Robbins italiano”.
Inutile specificare che mi ha irritato, vero? È così che funziona il mio cervello, davanti alle novità e soprattutto alle persone felici, si mette sull’attenti. A pensarci bene, è molto più facile sentirsi vicini a chi soffre che a chi irradia gioia… che ci dà anche un po’ sulle palle. Perché cazzo è così felice?!
E anche questo formatore: sorriso da un milione di dollari, vitalità a mille, rara capacità di calamitare l’audience. Insomma un uomo che irradiava felicità e sicurezza in se stesso e comunicava alle persone qualcosa in cui credeva di brutto. E anche lui, aveva la sfrontatezza di dire un sacco di cose sensate. Ma come si permetteva? Non era uno psicologo di chiara fama, non era un accademico venerato, non era nemmeno americano!
Roberto Re: ma come si permetteva?
Ok, avevo preso appuntamento con una persona del suo staff, un coach (cioè un professionista che aiuta le persone a raggiungere i risultati desiderati e allinearsi un po’ meglio con i propri veri obiettivi, che prima di tutto vanno distinti e capiti, mentre la norma è: non so cosa voglio!)
Convintissimo di sentire cose che sapevo già, ho incontrato questa donna incredibilmente radiosa che mi guardava negli occhi con sincero interesse e mi ascoltava DAVVERO. Ora, io sono un tipino sensibile e sul chi vive, ma più la conversazione procedeva, più questa coach mi era simpatica.
La sua è una professione, ok? Non mi ha mai detto ti aiuterò gratis. Voglio dire che non è una volontaria del Sacro Cuore, ecco. Però ha detto: “Sono convinta di poterti aiutare, se vorrai metterti in gioco davvero. Io farò il 30%, tu il 70.” E per dimostrare che aveva qualche argomento da condividere, mi ha detto due o tre frasette che mi hanno fatto affluire tutto il sangue al cervello in un secondo e poi a cascata fino al cuore.
È cominciata così.
Una sera a settimana mi sono unito a un centinaio di persone che ascoltavano, prendevano appunti, si esercitavano, si aiutavano a vicenda. All’inizio, ad essere sincero, era tutto parecchio strano: un sacco di gente sorridente, persone che si salutavano abbracciandosi… e io? Diffidenza a mille. Sapevo che mi sarei sentito un pesce fuor d’acqua, all’inizio. E cercavo motivi per esserlo. E poiché chi cerca trova…
Il mio cervello diceva: ehi, dove siamo? Ti sei ammattito? Questa roba non fa per noi!
E io mi sforzavo di rispondere: ti ho sempre dato retta, ho sempre evitato situazioni che mi mettevano a disagio… ma le cose non vanno come avevo sperato! Proviamo qualcosa di diverso, ora!
Lui rispondeva: tutte scemenze.
Questo è successo due, tre, quattro volte.
Il mio cervello non voleva cambiare abitudini, ma io gli ho proposto: prendine delle altre, prova queste, che vuoi che succeda! Alla fine ho iniziato a sentirmi a mio agio, a prenderci gusto, e ho messo alla prova le teorie che mi venivano trasferite. Nella vita privata, nel lavoro, con me stesso. Il cervello si era arreso, per fortuna. Le abitudini possono essere nostre alleate o le nostre peggiori nemiche, dipende da quali sono. Di sicuro, è meglio non rinchiudersi in quelle che ci proteggono a breve termine e ci danneggiano nel lungo termine. Una buona abitudine è quella di considerare i rischi una possibilità di crescita. Bene, ho deciso di prendere questa abitudine.
E i risultati hanno cominciato ad arrivare. Uno dietro l’altro, a una velocità che non credevo possibile.
Salto temporale: sono circondato da più di 400 persone radunate in una sala in un albergo romano. Davanti a noi, sul palcoscenico, Roberto Re parla di emozioni e di come gestirle meglio, ci mette alla prova con esempi pratici e coinvolge in prima persona.
Qualcosa è cambiato, ascolto e ora capisco molto meglio.
Vorrei parlare di quei tre giorni e credo proprio che lo farò, ma per adesso può bastare. Prossimamente, presto…
Qualcosa è cambiato. Io continuo a lavorarci, con un sacco di nuovi amici. Con la consapevolezza che è possibile. Si può essere più felici, si può cambiare, si può aspirare al meglio.
Si può ritrovare il coraggio.

domenica 3 ottobre 2010

Il tempo corre e occorre.

Qualche volta ci vuole più di qualche giorno. Qualche volta ti devi immergere in te stesso e giurare che riemergerai solo quando avrai trovato ciò che stai cercando. Poco importa che tu non sappia di che si tratta, quel che conta è la promessa, che manterrai a tutti i costi.
L'alternativa? Tradire tutto ciò che di buono sai di avere.
L'inverno è rigido, oscuro e dura più di quanto vorresti, ma è anche il momento in cui ci si stringe a chi si ama, si tirano fuori i maglioni che ci proteggono meglio e si cerca dentro di sé il calore che manca.
E quando inizi a trovarlo, perché lo hai cercato bene e puoi essere fiero di te... metti la punta del naso fuori dalla tana e inizi a sentire il profumo dell'erba che cresce. Di nuovo.
Che profumo.

mercoledì 16 giugno 2010

Sole e casine

Nel centro storico l’aria è leggera e brilla un sole da primi di agosto, anche se giugno è appena cominciato. Supero chiese medievali, piccole piazze, la facciata barocca di un teatro e la biblioteca Malatestiana, percorro bassi portici su cui si aprono porticine di legno brunito. Alcune sono spalancate e oltre la soglia vedo soffitti affrescati e bambini con i calzoncini corti che giocano su pavimenti di marmo a scacchi.
Cesena è una città a misura di bambino ricco.
Dietro un’alta cancellata verdeggia un giardino pubblico costellato di busti di artisti e patrioti. Al centro si innalza un gazebo in cui immagino una banda suonare in un una sera d’estate, gli strumenti che scintillano nell’aria profumata d’erba. Torno al presente. Sulle panchine siedono alcune donne in età, con graziosi cappellini. Guardano davanti a sé o chiacchierano. Più in là, sdraiati sul prato, un paio di magrebini se la raccontano e ridono. Nessuno li guarda male, nessuno bada a loro, in apparenza.
Quando ripercorro la via centrale diretto al ponte Savio, vedo la scritta sulla vetrina: “Casine”. È un giorno di assoluta libertà, così assecondo il ghiribizzo e mi avvicino. Sull’uscio un tizio con la barba folta e un camice picchiettato di macchie di tutti i colori non fa nessuna fatica a sorridermi a trentadue denti. Deve essere un giorno di libertà anche per lui.
“E così vendete casine,” faccio. Sono un tipo disinvolto.
“Le facciamo e le vendiamo,” fa lui. Si diverte un mondo. In vetrina, appesa a un filo d’acciaio, se ne sta in bella mostra, appunto, una casina. È un oggetto simpatico e sbilenco, che sfida il buon senso con le sue linee storte e i colori squillanti, esagerati. Un casetta di legno con il tetto inclinato, le finestre rotondeggianti e la porta asimettrica. Bellissima.
“Vuoi vedere?” dice il barbuto.
Come ho detto, è un giorno di vita e libertà. Sulla soglia adesso è arrivata una ragazza, che regge in mano una tavoletta di legno tutta colorata. Un milione di colori, come sul camice del barbuto. Mi guarda in modo insistente e dice: “L’ho fatta io.”
Entro e incontro i suoi amici, una dozzina circa. Sono un gruppo di ragazzi e ragazze dallo sguardo remoto. I loro occhi convergono all’unisono su di me. Sembrano poco abituati a ricevere visite, infatti rispondono a stento al mio saluto, per lo più in silenzio. Uno di loro porta una specie di gabbia d’acciaio intorno alla testa, un altro siede su una sedia rotelle, due di loro stanno navigando su internet. Nella stanza adiacente un gruppo di ragazze siede intorno a un tavolo. Al centro del tavolo ci sono barattoli di colore. Ogni ragazza maneggia un pennellino e un pezzo di “casina”. Le opere finite si asciugano qua e là per le stanze, sopra scaffali, bauli, su una credenza.
Ma che bel modo di far passare loro il tempo, queste casine, dico fra me e me. Però a guardarle bene, sono pezzi unici, una diversa dall’altra, una più bella dell’altra. È impossibile sceglierne una. Ma qualcuno lo fa.
“Con Internet le vendiamo in tutta Italia,” dice il barbuto chiaramente soddisfatto. “E anche all’estero.” Indica uno dei ragazzi davanti ai computer e fa: “Lui è il nostro ufficio stampa. È anche un bravissimo cantante, un batterista e un ballerino.”
“Anche io suonavo la batteria una volta.”
Questo lo rallegra moltissimo. “Un musicista! I musicisti ci sono simpatici, vero ragazzi?”
Per tutta risposta la tipa di prima mi porge la sua tavoletta e ribadisce: “Questa l’ho fatta io.” Gli altri reagiscono meno del previsto. I loro occhi dicono: ma questo che vuole. Sono tentato di far presente che sono anche un ex addetto stampa. Cantante e ballerino, mai, però. Abbiamo molto in comune, io e loro. Anche a me piacciono le casine. Per la verità non riesco a smettere di pensare al loro successo internazionale. Io sono a Cesena in cerca di lavoro, mentre questi ragazzi ne hanno uno bellissimo. Vorrei sedermi lì e creare pezzi unici. Sara mi chiede come mi chiamo. Ci metto un po’ a tornare sulla terra e rispondere e chiedere il suo nome. Sara è, come si dice, una ragazza down. Dipinge casine bellissime, lo so perché l’ho visto con i miei occhi. Anche le altre ragazze, ma lei è stata l’unica che ha voluto conoscermi almeno un po’, la meno timida. Ha una stretta di mano fiduciosa, sicura. Le sue colleghe hanno un occhio per me e uno per il loro lavoro. Le casine hanno la priorità ma si può fare uno strappo alla regola.
Prima di uscire stringo la mano anche al barbuto e gli dico quanto ammiro il suo lavoro e tutto quello che succede lì dentro. In un giorno di libertà puoi dire quello che vuoi, essere puro, sorridere come e quando viene. E di solito è così facile che difficile è smettere.
È ora di andare. Ringrazio tutti, li saluto allegramente, guardo le casine con un senso di perdita.
“Se ripassi di qua, torna a trovarci. Vero, ragazzi?”
“Questa l’ho fatta io.”
“È bellissima,” rispondo, e già sento una crepa nella mia voce.
C’è più sole di prima, ce n’è abbastanza per due città molto più grandi di Cesena.
A Torino in questo stesso istante piove a dirotto e i tombini straripano.
Faccio una ventina di metri e di colpo mi esplode qualcosa nel petto. Il cuore manca un colpo. Non respiro bene.
A dire la verità sto piangendo davanti a tutti. Qualcuno passa in bici, altri camminano con calma. Mi sento soffocare, perché trattengo le lacrime. Alzo gli occhi al cielo, così, se tutto va bene, nessuno vede che sono umidi.
Mica posso spiegare loro quanta bellezza ci sia in un giorno così. Mica posso dire a tutti quanto mi considero fortunato per il dono di un giorno come questo e delle casine e di quei ragazzi che trasformano pezzi di legno informe in dolci opere d’arte, con una naturalezza che fa pensare ai miracoli.
Di colpo ho capito tutto. Spero solo di non dimenticarlo.

www.myspace.com/lecasine

giovedì 6 maggio 2010

Ma quale fuga dei cervelli


"MA QUALE FUGA DEI CERVELLI QUESTA E' LA RIVOLUZIONE DEL NON ESSERCI" from Daniele Ciabattoni on Vimeo.

Questo lo considero l'urlo di un mio fratello, Federico Bonelli, che ha lasciato l'Italia e vive ad Amsterdam. Qualcuno potrebbe pensare che ci sia dentro solo rancore, ma io ci vedo un sacco di amore per l'Italia, per la sua gente, per quello che potremmo essere e non siamo. L'amore deluso è sempre il più romantico.
E questo mio fratello è un romantico davvero. Guardate i suoi occhi, alla fine. Sono gli occhi di uno che odia?
Il video è di Daniele Ciabattoni.

lunedì 3 maggio 2010

Lo zen e l'arte di giocare a flipper

Ricordate il flipper? Parte del divertimento consisteva nel cercare di prevedere la traiettoria della biglia d’acciaio, ma alla fine tanto valeva rinunciarci. Tu guardavi a destra e lei schizzava a sinistra, quando ti aspettavi che venisse giù ecco che prendeva a singhiozzare avanti e indietro in un’eternità di rimbalzi strabici. Ogni volta che toccava un pistone concentrico, un triangolo rimbalzello, una prominenza capezzoluta, un gingillo risonante, nel contatore il punteggio andava su e su e su, verso il paradiso dei veri uomini, i record-men del bar. Le cifre scorrevano e tu davi un senso a tutta quella agitazione, a quell’ansia da prestazione, abbeverando il tuo ego con i suoni di approvazione del flipper. Eri in azione. Sapevi che non sarebbe durata per sempre e che potevi anche sembrare un idiota, ma ehi, il gioco andava avanti.

La vita è veloce, pensi che vada in una direzione, poi rimbalza altrove. Guarda come sfreccia, non fermarla, non avere paura che prenda una piega inaspettata. Sembra un gran casino, ma stai accumulando punti, sempre e comunque.

sabato 24 aprile 2010

Noi non siamo razzisti, siamo merde

Parliamo di Adro (BS) dove 20 famiglie in difficoltà economiche si sono trovate nell’impossibilità di pagare il servizio di mensa scolastica in una scuola elementare. La scuola, con una risoluzione che non esito a definire pedagogicamente corretta, ha disposto il taglio dei viveri ai bambini. I piatti vuoti sono il viatico di un messaggio importante, che si enuclea (boia ladra , che parolone!) nel rispetto delle regole e della disciplina, perché non siamo mica nel paese di Bengodi, qui. Una forma di educazione al rigore, di cui un giorno questi pargoli, quasi tutti extracomunitari, ci saranno grati, se non moriranno d’Italia.
E se muoiono vuol dire che non erano forti abbastanza, e quindi non ci servono.

Storia edificante, se non fosse che un ignoto imprenditore si è intromesso effettuando una donazione di 10.000 euro a favore di queste famiglie di furbacchioni, che invece di pagare la mensa come tutti gli altri, si appellano al welfare, come se questa non fosse l’Italia, ma un paese Europeo.
“Non è giusto” reclamano le madri di Adro, che la mensa, loro, la pagano, mica balle. Da qui a pretendere che il benefattore scucia il malloppo a tutti o nessuno, il passo è breve. E infatti loro lo fanno: un saltino, un "balzello" verso lo sciopero della mensa. Perché agli extracomunitari sì e a noi no? Se fai un regalo a loro, che non sono nemmeno Italiani, lo devi fare anche a noi. Lo esigiamo!

Un altro muro è crollato, ma francamente non mi sorprende più di tanto, basta guardarsi intorno. Quello che mi stupisce è che il dibattito si concentri tutto sulle mamme e nessuno pensi ai bambini. No, che avete capito, non i bambini lasciati a digiuno, chi se ne frega di quegli extracomunitari mignon mangiapane a tradimento?
Io pensavo ai figli della madri che deprecano la generosità, che accusano i poveri di essere furbi, che dicono prima noi e andate a casa vostra.
La mia mente corre a questi piccoli italiani, figli di italiche madri dal grande cuore verminoso. Che, è vero, non sono affatto razziste, come strepitano scandalizzate ai microfoni di Annozero.
Sono peggio.

Pensiamo ai loro bambini. In questo preciso momento, stanno ricevendo a piene mani una solida, ringhiante, omicida educazione familiare che un giorno metteranno in pratica e perpetueranno.
Stanno violentando i loro cuori e noi stiamo a guardare.

mercoledì 21 aprile 2010

Colleghi ravvicinati del terzo tipo

Quando chiude un’azienda e tutti a casa i sensi si accendono come bengala. Anni di routine lavorativa li avevano offuscati e di colpo, ehi, cosa vedo, i miei colleghi. Quasi ex. Ora li vedo meglio. Ora che stiamo per congedarci. Ma come è possibile?
Forse lo so.

Siamo a un mostra, un vernissage. Quadri dappertutto, non so se rendo l’idea. Un sacco di gente si aggira fra le opere con aria intelligente e i muscoli abbastanza tonici da reggere un bicchiere di Spritz. Che noia tutti ‘sti quadri, non ne posso più, ma chi l’ha detto che sono capolavori? A me sembrano le solite croste!
E questo che roba è? Sulla parete l’impronta di un quadro. Qualcuno l’ha portato via. Poteva essere il quadro più bello del mondo. Voglio vederlo! Dove l’avete messo? Lo so, lo so, avevo detto che l’arte moderna mi ha annoiato, ma… dov’è finito quel quadro? Voglio vederlo.
Mi manca già.
Mi sento anche un po’ solo.

Colleghi: per anni insieme, sempre operativi, sempre sul pezzo. E ora che il pezzo si è rotto, scendiamo e, da colleghi, torniamo persone. La metamorfosi è quasi istantanea e lascia senza fiato. In questi ultimi giorni insieme mi pare che ci fissiamo come alieni, proprio perché ci guardiamo come esseri umani.
Prima regola per rinascere: schiattare.

domenica 11 aprile 2010

Sorridi, questa NON è una candid camera

Sempre lei, ogni mattina, da non so più quanto tempo. Tutti i giorni mi ha accolto alla fermata di piazza Castello con un sorriso radioso, sincero e gratuito, come il giornale che consegna. Io, che ho sempre la testa altrove, fra ieri e domani con un accenno di oggi, a quel punto mi ricordo di lei, mi dico: ah, già, eccola! Ed è una bella notizia, perché la ragazza mi allunga il giornale con un sincero moto di generosità, come se mi porgesse un regalo. “Metro, buona giornata!” In effetti è così, è un proprio un regalo, ma non riferisco a quelle pagine di pubblicità e notizie a margine. Niente affatto.

Probabilmente la pagano quattro soldi e di sicuro non le danno alcun extra per sorridermi di cuore. Ma lei lo fa sempre e, diavolo, non vorrei sembrare new age, ma è un sorriso cristallino, pura gentilezza d’animo. Il regalo è tutto lì e l’ho avuto tutti i giorni, come l’hanno ricevuto moltissimi altri distratti figuranti diretti al lavoro. Perfino i conducenti dei bus sembrano apprezzarla, lo vedo da come la salutano. Così ogni giorno, non importa se la luna è dritta o storta, io mi sono ritrovato a ricambiare quel sorriso luminoso con una sincerità fanciullesca, che nel tempo è andata crescendo sempre più. E ogni giorno ho ripetuto il mio mantra: “Ciao, grazie”.

Che presa alla lettera è poca cosa, come frase, ma vediamo un po’. Con “Ciao” io intendo: “Ehi, che bello, sei qui anche stamattina!” Mentre con “Grazie” le dico: “Questo sorriso che mi regali è così limpido, così vero. Mi fa sentire bene, mi fa capire che siamo uguali, io che vado a fare il pubblicitario e tu e che distribuisci giornali. Le distinzioni, il distacco, sono un gioco di fantasia. Infatti basta un sorriso ad abbatterle.”

“Ciao, grazie” E ovviamente sorrido di riflesso, mettendoci dentro tutti i sottintesi che riesco. Un rapido scambio di sguardi. Sono certo che ha capito. Ormai è come un gioco di mutuo riconoscimento. Si ammicca un po’ e si tira dritto. Chiariamo subito: nessun risvolto romantico o erotico in tutto questo. Solo due persone alla pari.

Piccoli gesti, squarci di verità che contribuiscono a rendere le giornate migliori, compiuti da eroi misconosciuti, ai quali difficilmente prestiamo attenzione. Mi chiedo, se ci fossi io, al posto di quella ragazza a compiere un lavoro che non abbonda (credo) di soddisfazioni, sarei capace di sorridere in quel modo? E, domanda ancora più importante, se tutti prestassimo attenzione più spesso a queste persone, a riconoscerne il valore, anziché inseguire esempi posticci forniti da modelli di plastica? Io una così la promuoverei a direttrice di Metro!

Voi conoscete persone come lei? Apparenti comparse che forse incarnano storie più interessanti di quelle portate avanti dai protagonisti, o aspiranti tali, di questo infinito, complesso reality senza telecamere?

venerdì 26 marzo 2010

Luca Cordero di Montezuma

«La nostra storia, le nostre radici e il nostro cuore sono e saranno in Italia». Lo ha affermato Luca Cordero di Montezemolo, aprendo l'assemblea degli azionisti al Lingotto.

Ma perché ci pigliano in giro con questa retorica, ma perché?! Ma perché pensano che siamo dei pirla senza speranza?
Montezuma. Luca. Luca di Muntezumolo.
Io l'ho letta e riletta la tua bella sentenza da prete di campagna. Sembra la favola della buona notte, invece è un horror truculento.
Le radici, dice. Le radici. Sei tutto cuore, tu.
Montezumolo.
Però le radici mangiale tu, ai lavoratori devi dare i frutti!

venerdì 12 marzo 2010

Zagrelbesky rock star

Gustavo Zagrelbesky, uno dei giuristi più importanti del XX secolo,ex presidente della Corte Costituzionale, è stato accolto da un applauso degno di una rock star. Un omino calvo, dall’andatura misurata, vestito così così. È salito sul palco e si è seduto fra il procuratore Ingroia e Marco Travaglio. Tre italiani di cui andare fieri, insieme sul palcoscenico del Teatro Nuovo, e io pensavo: allora sono veri, esistono, è fantastico.

Le persone migliori, perché tali considero i suddetti, ti stupiscono sempre per la disinvoltura con cui indossano se stesse. Non c’è una nota fuori posto, ma neanche senti squilli repentini. Zagrelbesky, io pensavo che fosse solo un nome da pronunciare per rimediare un 30 e lode o fare un figurone fra gli intellettualoidi. Invece è un uomo di una sapienza e di una saggezza rare, che da quel palcoscenico ha lanciato un invito alla Resistenza.

“Resistenza”, ha usato questa parola. Perché non era preoccupato per lo stato di salute della democrazia nel nostro paese, no. Zagrelbesky era angosciato. Cavolo, io già lo ero di mio. Ora che un luminare anzianotto mi ha guardato con tutta quella apprensione, l’ansia è salita alle stelle. Allora non era un’impressione, siamo a rischio fascismo.

E io stasera come faccio ad andare all’Alcol a farmi un Aperol Spritz fra i ggiovani e poi da Giancarlo a fare quattro salti fra i superggiovani e poi come faccio a sentirmi un ganzo se rincaso alle cinque del mattino circondato di superggggggiovanissimi (più le ore rimpiccioliscono, più ringiovanisci, si sa)?

Come faccio a non gridare SVEGLIATEVI, PIRLA!! CI STANNO RUBANDO IL FUTURO! QUI SI FA LA STORIA E NOI AL MASSIMO VIVIAMO UNA SPRITZ LIFE!!

Che sarebbe anche molto presuntuoso da parte mia. Però. Però mi chiedo.

Se un giorno avrò dei nipoti (bellissimi, biondissimi e morti di fame) e loro mi chiederanno: “Nonno,ma tu dov’eri quando l’Italia sprofondava nel regime berlusconiano, l’istruzione pubblica crollava, il principio di uguaglianza crepava, la corruzione raggiungeva l’apice, i lavoratori stavano sui tetti, gli studenti per strada, se no gli franava la scuola in capo, i migranti venivano respinti a morire in Libia e tutte queste nefandezze che abbiamo letto in un libro proibitissimo che ci ha dato quel nostro amico che hanno arrestato e non si è mai più visto… Insomma, nonno, tu dov’eri, che facevi?”

E io dirò: “Da Giancarlo, con Gustavo Zagrelbesky. Quella sera fu accolto come una rockstar. Spensero la musica per ascoltare le sue parole e tutti restammo in silenzio. Che atmosfera! Più le parole di quel saggio diventavano nostre, più tornavamo padroni di noi stessi. Basta con  gli inganni, basta con l'ignoranza complice. Ci guardavamo con un coraggio nuovo. L’intervallo era finito. Non eravamo più bambini. Resistenza.”

Ai nipotini i nonni raccontano favole, si sa.

martedì 2 marzo 2010

Il cane abbiaia perché...

Il prof. Tullio De Mauro ha scritto “La cultura degli Italiani”, Oliviero Beah lo commenta sul suo Blog “I nuovi Mostri”, io lo riporto sul mio. Almeno sono l’ultimo tratto di una filiera di intelligenze. Orbene. Secondo De Mauro siamo di fronte, in Italia, al massiccio fenomeno dell’analfabetismo di ritorno. Dati alla mano, il 5% degli italiani non è in grado di leggere, o meglio decifrare, la frase: “Il gatto miagola, perché vuole il latte.” In più sa fare solo addizioni a una cifra (e qui mi ci metto quasi quasi anche io…)
Mica è finita. C’è un 33% di Italiani che si ferma a decifrare solo la prima parte: “Il gatto miagola.” La subordinata: “perché vuole il latte” è già troppo complicata.
Anche loro sanno eseguire solo addizioni a una cifra.
E così arriviamo al 38% degli italiani: una massa di analfabeti di ritorno.
Ma da dove? Quando sono partiti, e come? Secondo me non si sono mai mossi. Dove cazzo vuoi che vadano? Non sanno leggere nemmeno la segnaletica. A limite vanno a Bra, sede del famoso marchio di reggiseni, o a Rho. Nomi corti, facili. Me li vedo: le strade affollate, le piazze gremite di persone che si chiedono : “Perché il gatto miagola?” “Quale gatto?” “Boh” “Mah!” “Se lo saprei te lo direi.” 
Andiamo avanti. Il 33% degli Italiani si ferma a decifrare tutta la frase: “Il gatto miagola, perché vuole il latte” e sa fare addizioni a due cifre. Più in là non va.
In totale il 71% degli Italiani o non legge o riesce a malapena a capire che cazzo vuole il gatto o a sommare numeri di due cifre.
Oliviero Beah esclama: “Ma è un paese di barbari! Altro che discutere di Berlusconi, il PD, Bertolaso! Qui bisogna ripartire da zero!"
Mica vero, per selezionare la classe dirigente basta sottoporre le persone al nuovo QCT, il nuovo Quiz Culturale Italiano. Eccolo qui:
“Il cane abbaia, perché gli fanno male i testicoli. Che vuol dire? Spiegalo con parole tue.”
Sto lavorando sul test di matematica. Prossimamente.
Roba geniale.

domenica 21 febbraio 2010

Dire basta

Non l’ho visto, ok? Mi pare ovvio, perfino scontato, non posso neanche vantarmene. Ma chi lo guarda il Festival di Sanremo, ormai?
Solo fantastilioni di Italiani.
Vabbe'. Io non l'ho visto, però, navigando, mi sono imbattuto nella notizia: l’orchestra reclama contro i risultati della gara canora gettando gli spartiti sul palcoscenico. Allora sono andato a vedere il filmato su YouTube. Ora, a parte il fatto che gli orchestrali avevano l’aria di viverla anche come una goliardata, l’hanno fatto davvero. Per protestare contro le eliminazioni decretate dal televoto, cioè dagli spettatori, hanno armato una manifestazione di protesta in diretta.
Mi è piaciuto, qualcosa ancora brucia sotto la coltre di indifferenza, l’insofferenza sta montando, si manifesta nei luoghi più impensati.
In un paese in cui il populismo è dottrina questo gesto di ribellione spontanea (sperando che lo sia) mi conforta parecchio. Sì perché non si possono mica lasciar prendere tutte le decisioni a noi, il popolo, che spesso non ci capiamo un cazzo. Quelli che se ne intendono, quelli che ne sanno di più, devono avere il coraggio delle loro opinioni, anche quando vanno in contrasto con il pensiero dominante. Un tempo si chiamavano intellettuali. Un tempo avevano il coraggio di esporsi.
Quegli orchestrali (blasonati maestri di musica e session men di lusso) ieri hanno dato voce alla loro indignazione contro il pubblico che boccia il talento e premia la fama scaturita dal gossip (Pupo+Emanuele Filiberto) e dai reality (il vincitore: non so come si cazzo chiama, ma non importa, fra un paio d’anni non lo saprà più nessuno).
Che meraviglia, se solo tutti i veri esperti avessero il coraggio di riappropriarsi della propria autorevolezza. “No, caro, tu non ci capisci un mazza, quindi decido io.”
Opporsi alla tirannia degli ottusi, anche a rischio di diventare impopolari. Dire: No, adesso basta qui si esagera!”
Battere i pugni, sbattere la porta, passare per pazzi, ma difendere a tutti i costi la propria opinione contro la marea montante dell’ignoranza legittimata.
Voi lo fate spesso?
Quando è stata l’ultima volta?
Quanto a me, siamo onesti: non abbastanza.

domenica 7 febbraio 2010

Davanti al quindicenne che eri

Sto riguardando una delle serie TV più geniali di sempre, Un Medico fra gli Orsi (Northern Exposure). Molti gli spunti di riflessione. Fra questi: se potessi incontrare te stesso in versione quindicenne, un vero faccia faccia con la persona che eri, cosa credi che penserebbe di te la persona in questione?
I sogni che avevi si sono realizzati? Se diventato il tipo di persona che immaginavi? Piaceresti al quindicenne in questione?
Messa in questa prospettiva, la vita che ho vissuto finora mi pare piuttosto interessante. Da 37enne quasi alle prese con l'inevitabile crisi dei 40, a volte penso che non ho concluso granché, finora. Non ho una moglie, non ho figli, e ultimamente mi ritrovo a mettere in discussione anche la mia professione, un po' per motivi contingenti, un po' perché mi sta sempre più stretta la sua assoluta mancanza di contatto con la realtà e i veri bisogni dell'uomo. Capita quando lavori nella pubblicità. Insomma, i lavori sono ancora in corso, da queste parti, e non posso dire di avere costruito molto. Ma poi penso a quel quindicenne e mi dico che proprio per questo potrei piacergli. Dopotutto ho svolto lavori interessanti in ambiti creativi come l'editoria, il fumetto, la pubblicità. Ho lavorato per una rivista creata con i miei migliori amici, ho pubblicato in Italia e all'estero un paio di fumetti (a lui questo piacerebbe moltissimo) sono stato pagato per scrivere racconti e non importa che non siano stati dei successi travolgenti, quel che conta è che sto ancora vivendo a modo mio. Ancora ragiono, ci credo, mi sbatto, ci provo. Non sono sposato, ma questo vuol dire che sono ancora libero di conoscere e sperimentare. Non avere figli, se da un lato mi spiace, mi permette di correre rischi maggiori e pensare a nuove direzioni di vita. In fin dei conti sono ancora una persona libera e un sognatore.
Parliamoci chiaro, questa è anche una fregatura. Ma se incontrassi quel quindicenne, a lui non lo direi. Mi godrei piuttosto quel filo di ingenua ammirazione che proverebbe davanti ai miei modesti risultati e a questa eterna incapacità di uniformarmi. Ora, questo probabilmente dimostra solo che non sono più maturo di un quindicenne, ma tant'è, a ognuno il suo. Magra consolazione, ma pur sempre consolazione.
E il vostro quindicenne, cosa penserebbe di voi?

venerdì 29 gennaio 2010

Avrei voluto chiamarlo al telefono

"Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira."

J. D. Salinger - Il giovane Holden

RIP

martedì 26 gennaio 2010

La nostra lingua batte

La lingua italiana è un inferno di regole ed eccezioni. Per questo è lo specchio della nostra mentalità e dell’Italian lifestyle. Che a me pare sopravvalutato di brutto, per inciso. Appena impari una regola, ecco duecento modi per aggirarla, esulare, eccepire.

Gli extracomunitari che la studiano nei Centri Territoriali Permanenti, per prendere la licenza media e avere accesso a uno straccio di lavoro, fronteggiano le mille contraddizioni del nostro Paese, a cominciare dall’impianto grammaticale. Sono costretti a capire come ragioniamo attraverso un idioma bellissimo e ingannevole, una puttana di classe capace di dire tutto e il suo contrario nello stesso tempo.

lunedì 11 gennaio 2010

Questa piace anche a un anticlericale (se non è un bastardo putrefatto)

"Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri."

Don Lorenzo Milani

venerdì 8 gennaio 2010

Stile significa

Stile significa non avere scudo.
Stile significa non avere facciata.
Stile significa massima naturalezza.
Stile significa un uomo solo circondato da miliardi di uomini.

Charles Bukowsky

giovedì 7 gennaio 2010

Non conviene collezionare fumetti

Claude Moliterni, io l’ho conosciuto. Lui e i suoi baffetti e l’eleganza francese d’antan.
non ce l’hanno mica tutti i francesi.
Penso che al mattino mangiasse tartine al caviale con la margarina o comunque ne aveva l’aria.
In Francia era una vecchia istituzione, per quanto ne so
Rispettato, conosciuto, una grande carriera alle spalle. Ad Angouleme mi sono fatto una foto con lui, che non si ricordava di avermi già conosciuto in Italia. Ha un'aria disorientata. "Chi è questo qua?"
Ha scritto una recensione entusiastica del mio fumetto e quando l’ho letta ho pensato WOW, è fatta.
E invece no.
Probabilmente non le leggeva più nessuno, le sue recensioni. Le tartine al caviale, credo che le mangiasse da solo. Claude Moliterni aveva scritto molti fumetti e saggi sul fumetto e un grande dizionario enciclopedico sui fumetti. Un uomo di fumetti.
Era un distinto signore francese, ma è morto lo stesso. Non credo che il suo sito web andasse molto bene, ma almeno è ancora vivo. Oggi ho visto una foto sul blog di Luca Boschi, è un simpatico sceneggiatore e saggista italiano di fumetti. Non so cosa mangi al mattino, ma è molto meno elegante e francese di Claude Moliterni (non me ne voglia).
La foto era: una catasta di fumetti gettata su un marciapiedi sotto la pioggia notturna di Parigi. E alcune raccomandate in mezzo a quel ciarpame fradicio. E dei biglietti. Sopra c'è il nome di Claude Moliterni.
La sua collezione di fumetti. In disfacimento. Nient’altro che carta straccia. Spazzatura.
Ci aveva messo una vita a raccoglierla, un giorno dopo l’altro, quella spazzatura.
E scommetto che l'aveva amata davvero.
Perché abbandonarla sotto la pioggia? Potevano almeno bruciarla, fare un rogo.
In fin dei conti penso che non convenga collezionare fumetti.

mercoledì 6 gennaio 2010

Mai lasciarsi abbattere dagli stronzi

Signor Courtney, nessuna somma di denaro potrebbe farmi considerare la possibilità di concederle la libertà dietro cauzione - mi disse il giudice.
Grazie, e spero che lei vinca lotteria! - gli risposi. Non lasciatevi mai abbattere dagli stronzi. Mai.

Dave Courtney.

martedì 5 gennaio 2010

La tela è in prestito

Secondo il mio amico Alex dipingiamo su una tela che alla fine dovremo comunque restituire. Quindi tanto vale disegnare quel che cazzo più ci piace.

Il mio amico Alex è un vero filosofo.

venerdì 1 gennaio 2010

Gente di classe

Primo mattino del primo giorno di gennaio
in pigiama con la mia donna
tè, orzo e caffè e il resto di un pandoro nel cellophane.
La prima azione dell'anno è ascoltare Enrico Rava
Easy Living.
Poi passiamo a Dave Mathews Band
The Space Between.
Adesso che lei è uscita, Chick Corea dice la sua
Fragments.
E non abbiamo neanche litigato.
La casa è piccola, la porta finestra si apre col vento
e nel 2010 dovrei decidermi a rifare il letto,
ma questo è un buon modo di cominciare l'anno
ed è evidente che siamo gente di classe.
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