mercoledì 21 aprile 2010

Colleghi ravvicinati del terzo tipo

Quando chiude un’azienda e tutti a casa i sensi si accendono come bengala. Anni di routine lavorativa li avevano offuscati e di colpo, ehi, cosa vedo, i miei colleghi. Quasi ex. Ora li vedo meglio. Ora che stiamo per congedarci. Ma come è possibile?
Forse lo so.

Siamo a un mostra, un vernissage. Quadri dappertutto, non so se rendo l’idea. Un sacco di gente si aggira fra le opere con aria intelligente e i muscoli abbastanza tonici da reggere un bicchiere di Spritz. Che noia tutti ‘sti quadri, non ne posso più, ma chi l’ha detto che sono capolavori? A me sembrano le solite croste!
E questo che roba è? Sulla parete l’impronta di un quadro. Qualcuno l’ha portato via. Poteva essere il quadro più bello del mondo. Voglio vederlo! Dove l’avete messo? Lo so, lo so, avevo detto che l’arte moderna mi ha annoiato, ma… dov’è finito quel quadro? Voglio vederlo.
Mi manca già.
Mi sento anche un po’ solo.

Colleghi: per anni insieme, sempre operativi, sempre sul pezzo. E ora che il pezzo si è rotto, scendiamo e, da colleghi, torniamo persone. La metamorfosi è quasi istantanea e lascia senza fiato. In questi ultimi giorni insieme mi pare che ci fissiamo come alieni, proprio perché ci guardiamo come esseri umani.
Prima regola per rinascere: schiattare.

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