domenica 29 novembre 2009

Paolo Di Orazio frantoia ancora

Questa è per Paolo Di Orazio, che per un po’ è stato uno di noi e non lo sa. Noi che portavamo libri segreti giù in cantina, per condividerli con gli amici fidati, che avrebbero capito tutto. Da quelle pagine grondava sangue.

Eravamo un gruppetto di universitari o giù di lì. Ci piaceva leggere, scrivere, amavamo il disegno, il fumetto e le storie ben raccontate. Fumare insieme era un dovere, e la bottiglia di “Fuoco di Russia” passava di mano in mano. I muri puzzavano di muffa, giù nella cantina di via Goito, dove leggevamo, declamavamo, recitavamo e ci sentivamo speciali.

Per le ragazze eravamo cinque indegni sfigati (tranne Alvin) ma loro non avevano mai letto Ray Bradbury, Stephen King e Richard Matheson, poveracce. In compenso avevano visto "L'attimo fuggente", ma se ne fottevano.

Lo stanzino in cui andavamo a chiuderci era una cantina antica, un infernotto torinese con il soffitto a volta di mattoni. Aveva carattere. Oltre la porta di assi verniciate avevamo sistemato un divano di finta pelle beige a tre piazze e una poltrona di velluto consunto recuperata da un night club. Uno era paternalista, l’altra puttana e lì dentro andavano d’accordo. C’era un dondolo di vimini. C’era una pila impolverata di Urania Mondatori sormontata da una confezione di Pampers. C’era una stufa elettrica che soffiava aria calda tutta la notte senza risultati apprezzabili, e un posacenere ricavato da un chiusino, posato sul tavolo. Le cicche spuntavano dai buchi del chiusino come dita uncinate. Un grande Goldrake di plastica mutilato d’un braccio vigilava da sopra la spalliera del divano.

Domanda di rito a inizio nottata: “Qualcuno ha qualcosa da leggere?”
Se ce l’avevi, prendevi il tuo libro, o dattiloscritto e sedevi sul dondolo di vimini, che scricchiolava a ogni oscillazione.
Tutti zitti.
Cominciava la lettura.

Una notte lessi Paolo Di Orazio. Strano, perché era italiano. I migliori scrittori di horror, soprannaturale e fantastico erano americani, lo sapevano tutti. Gli italiani, escluso Buzzati, ci facevano cagare, e giustamente. Questo qui era diverso. Paolo Di Orazio era un bastardo, uno senza anima, malvagio fino in fondo. Ma era anche uno con le letture giuste e che scriveva per piacere a te, non al critico letterario preferito di tua nonna. Penna, anziché uncinetto, parole scelte con cura, ma niente prosa azzurro pallido. Io lo sapevo, perché avevo già messo le mani sulle sue raccolte di racconti “Primi delitti” e Madre Mostro”. Mi ci ero sporcato le dita e i palmi e i gomiti anni prima. A dire il vero, mi ero insozzato tutto. Poi avevo nascosto quei libri in fondo al cassetto. L’autore era chiaramente un bravo ragazzo dalla mente malata che gestiva a meraviglia la sua pazzia. Dalle sue pagine il sangue non grondava, eruttava a secchiate. Libri che gridavano a squarciagola. Racconti scritti con la febbre a quaranta, la malaria, il tifo e la musica a tutto volume. Un orrore ai confini della pornografia, la dissacrazione dell’umano passando per l’anatomia. Infatti, in precedenza Di Orazio aveva scritto anche fumetti porno. Era uno che cercava perle nella merda con un ghigno spalmato in faccia, e di solito le trovava.

Quando arrivai in fondo alla dozzina di pagine de “Il Dipinto ucciso”, che avevo scelto di leggere ai ragazzi, capii di essere andato a segno. Be’ ci era andato lui, Di Orazio, però le presentazioni le avevo fatte io. Avevo condiviso un mio segreto, aperto il cassetto. La bestia che ne era saltata fuori, aveva spaventato tutti, e di questo mi erano grati.
Era il 1993.
Di quegli anni e di quel libro, “Il Dipinto Ucciso”, a me, e a chi quella sera ne fu più colpito, rimane una parola, che ancora oggi ci ripetiamo con un sorriso perfido e la giusta dose di autoironia. La parola è frantoio.
Il frantoio, nel “Dipinto Ucciso” aveva il suo peso narrativo

Non posso neanche suggerire di andare a recuperare il romanzo, perché è esaurito e introvabile. È defunta anche la sua gloriosa casa editrice, Granata Press. Ce ne fossero. Sparita anche l’Acme, che pubblicò in edicola la raccolta di racconti d’esordio “Primi delitti” e “Madre Mostro”. L’Acme, che pubblicava le riviste di fumetti “Splatter” e “Mostri”. Chi le ricorda le rimpiange.
L’altro giorno ho incontrato Paolo Di Orazio su Facebook. Non ero sicuro che fosse lui, lo era. Mi sono anche un po’ emozionato. Chi ci pensava più?
Per un po’ lui è venuto in cantina con noi ragazzi, ha fatto parte del gruppo, e neanche lo sapeva.

Adesso mi informa che sta per uscire un suo nuovo romanzo. Ne è passato di tempo, però va bene, credo che lo leggerò con piacere e anche con occhi nuovi. Non è detto che mi piaccia come allora, a ripensarci era un tantino ossessiva la sua prosa, ma anche lui sarà cambiato, quindi anche questo va bene. Di sicuro è uno che scriveva parole come jab, e ci sono ottime probabilità che ne sia ancora capace. Forse anche meglio. E pensare che non è nemmeno americano.
Ecco cosa pensavo.

2 commenti:

  1. Scoprire di aver preso parte a questo mood intellettuale che, in una cantina, se ne frega di tutti per il solo piacere di immergersi in letture fantastiche, penso sia il miglior premio che potessi aspettarmi dalla scrittura. onestamente, posso solo sognare che per me si ripeta e si rinnovi tale onore. Grazie

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